L’ORATORIO DI SANTA MARIA DEL PONTASSO

A Torrazza Coste salendo su una piccola collina per poi scendere in una vallata si giunge all’Oratorio di Santa Maria del Pontasso, il primo esempio d’arte medievale, tutt’ora semi conservato, in provincia di Pavia e praticamente sconosciuto al pubblico.

“Monumento” di origine longobarda, lo storico Cavagna Sangiuliani ne data la costruzione al XI secolo, ma l’“oratorium S. Mariae de Pontassio” è attestato sui documenti soltanto nel Cinquecento.

Narra la leggenda che un giovane guerriero longobardo, il conte Azzo, smarritosi durante una battuta di caccia, poté uscire dalla boscaglia con l’aiuto della Vergine misteriosamente apparsa. Sul luogo sorse una cappella raggiungibile attraverso un ponte sul rio Brignolo: di qui l’etimologia popolare del nome.

Preziosa appare la testimonianza del Cavagna Sangiuliani (1890) se non altro per la datazione degli affreschi: “ nella piccola abside essi rappresentano nella volta la Madonna e vari Santi in ginocchio con le mani giunte ai lati, e tra essi si osservano le figure della Vergine e di San Matteo, e come tra gli stemmi che vi sono dipinti si noti quello dei Beccaria. Una grande inscrizione a caratteri gotici porta la data del 1342 o 1345, ma essendo molto danneggiato mi riesce impossibile decifrare; come non ho potuto comprendere le parole scritte sopra una specie di fascia bianca che corre attorno la
parte inferiore degli affreschi, ma che sembra debbano indicarne l’epoca della fondazione o di un restauro della cappella, o il nome di chi fece dipingere gli affreschi come era costume nei secoli XIV e XV, avendo potuto leggervi la parola HANC che spesso precede quella ICONEM e forse diceva: questa cappella fu fatta dipingere da…”.

Ad una più attenta osservazione si possono in realtà riconoscere: nella parete di fondo “l’Annunciazione” (guastata in parte da un “occhio” aperto nel muro); nella parete di sinistra il “committente” inginocchiato (forse un Beccaria di cui si intravede, poco distante, lo stemma sciupato, coi tredici monticelli) fra due angeli nimbati, in piedi e con le mani alzate al cielo o in atto di sorreggere il firmamento; nella parete di destra uno stemma (forse dei Giorgi) fra altri due angeli nella posizione e nel gesto sopra descritti; nella volta a botte, inscritto in una mandorla, frammentario e ormai acefalo, Cristo in maestà. Ultimo, ma non per importanza, all’estrema destra è presente un San Sebastiano martoriato, come storia vuole, dalle frecce.

La profusione di motivi geometrici nelle lunghe vesti degli angeli induce a istituire raffronti con la decorazione di figure in antiche chiese pavesi (Sant’Elena nella chiesa di San Teodoro e angelo nella chiesa di San Lazzaro, affreschi della prima metà del XIII secolo).
Le immagini dal netto contorno disegnativo, semplificate e stilizzate, e i colori vivaci della decorazione sono ancora visibili nel degrado di un manufatto che viene classificato tra i monumenti nazionali; ma la loro identità e la loro forza espressiva sono in gran parte annullate, più che per opera del tempo, per l’incuria e l’aggressione della stupidità umana.

FOTO © V.MARIANI 2019

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